Gilbert Simondon (1924-1989) è il filosofo della tecnica più importante del secondo Novecento. Normalien, dopo aver insegnato filosofia al liceo di Tours, ottiene la cattedra di Psicologia all’Università di Poitiers e, in seguito, a Parigi, alla Sorbona e poi all’Università Paris-Descartes, dove fonda il Laboratorio di Psicologia generale e di Tecnologia. Le sue opere principali sono le due tesi sostenute nel 1958: Du mode d’existence des objets techniques (qui tradotta) e L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information. Di Simondon Orthotes ha già pubblicato il volume Sulla tecnica (2017).
Nascita della tecnologia
Lo spirito tecnologico si è sviluppato in Occidente a partire dall’incontro delle tecniche orientali, mediorientali o egiziane e della scienza contemplativa e teorica soprattutto greca. Alessandria è stata un luogo eccezionale di confluenza tra teoria e tecnica, tra scienza e uso separato degli strumenti pratici.
La tecnologia è già presente nell’invenzione di una macchina semplice: uno strumento, come la leva del cavatore o il fascio di corde o la ruota o ancora il rullo, costituisce un medium tra l’operatore e la materia naturale. In una macchina, esiste una concatenazione di operazioni di strumenti che agiscono gli uni sugli altri, facendo sì che in una catena trasduttiva ciascuno degli strumenti elementari è insieme sia oggetto di operazione che operatore, natura-oggetto e soggetto-operante. Il logos della tecnologia è questo concatenamento (diverso dallo sguardo gettato dal soggetto conoscente sulla natura conosciuta), il métrion della relazione trasduttiva. Le pompe aspiranti e a pressione di Cresibo, precursore di Erode d’Alessandria, gli automi di Erode (distributore di acqua benedetta, altare di sacrifici che aziona grazie alla dilatazione dell’aria riscaldata l’apertura e la chiusura delle porte del tempio…) sono delle macchine perché la mediazione vi è organizzata a catena, ogni elemento essendo strumento ed operatore. L’automatismo è implicitamente contenuto nell’essenza del macchinismo, perché l’essenza del macchinismo risiede nella concatenazione trasduttiva, che autorizza l’automatismo, la reversibilità e finalmente la regolazione, quando una seconda catena, che comincia dove si compie la prima (mondo reale, oggetto ultimo, ambiente, carica) e orientata all’indietro, risale verso il primo termine della prima catena (entrata).
Un’altra tappa del macchinismo è superata quando l’apporto d’energia è assicurato dall’ambiente, dalla natura: questa seconda tappa permette l’introduzione del macchinismo industriale, con un cambiamento dell’ordine di grandezza; ma possono esistere delle macchine che traggono la loro energia dall’operatore umano, altre che sono messe in movimento da parte di animali. La macchina è tale grazie alla sua struttura di concatenazione e per il fatto che la sua alimentazione d’energia è logicamente indipendente dall’ordine del suo primo anello, anche se questa alimentazione è fornita dal corpo dell’operatore (esempio: un tornio messo in movimento da pedali e una molla di richiamo) che agisce, in quanto motore, in maniera indipendente dal comando dello strumento di tornitura: si può far funzionare un giro a vuoto. Basta la relativa indipendenza dei piedi (energia) e delle mani (posizionamento, dunque informazione) perché la macchina esista, infatti il suo schema racchiude una concatenazione trasduttiva di elementi che hanno lo statuto di oggetti e di strumenti.