Gianni Vattimo ha insegnato Filosofia Teoretica presso l’Università di Torino dal 1964 al 2008. Visiting Professor in varie università americane, ha tenuto seminari e conferenze negli atenei di tutto il mondo. Ha diretto per molti anni la «Rivista di Estetica» e ha collaborato con diversi quotidiani e riviste italiane e straniere. Dal 1999 al 2004 e dal 2009 al 2014 è stato deputato al Parlamento di Strasburgo. Nei suoi lavori ha cercato di riflettere criticamente sul rapporto tra filosofia e mondo contemporaneo (dalla politica ai mass-media, dalla religione ai diritti civili e sociali). I suoi libri sono stati tradotti in moltissime lingue.
Il capitalismo occidentale moderno è una formazione storica che si capisce solo se si tiene conto dell’influsso autonomo esercitato, nel suo costituirsi, dal fattore religioso. Weber arriva a questa conclusione nella ricerca su protestantesimo e capitalismo; ma essa gli risulterà confermata, per via di comparazione, dalle successive indagini sulle implicazioni economiche degli altri grandi sistemi religiosi. Quel che si tratta di capire è come mai, posto che il desiderio di guadagno è comune a tutti gli uomini, e che altri elementi costitutivi del capitalismo, per esempio l’economia monetaria, la disponibilità di grosse quantità di denaro, una scienza e una tecnica abbastanza mature, si ritrovano anche in numerose civiltà ed epoche diverse dalla nostra, il capitalismo si sia sviluppato nella sua forma caratteristica solo nel moderno Occidente europeo.
Si tratta naturalmente di intendersi su che cosa sia la caratteristica peculiare di questo capitalismo moderno. Se, come pare a Weber, essa non si riduce solo all’economia monetaria (che si incontra anche nella società medievale precapitalistica) né solo a una generica razionalizzazione dell’economia (giacché la razionalizzazione è presente ovunque si metta in opera un sistema di mezzi in vista di fini, e dunque ancora una volta in società che perseguono fini tra loro diversi), dovremo cercare l’essenza del capitalismo moderno in un peculiare sviluppo di quella che Weber chiama la «razionalità formale».
Che cosa si intenda con questo termine lo capiamo se pensiamo alla figura ideale del capitalista: il fine della sua attività è la massimizzazione del profitto come tale, indipendentemente da qualunque interesse per ciò che potrà procurarsi con il denaro così guadagnato. Nel suo tipo ideale (naturalmente, non sempre perfettamente dato nei «capitalisti reali») il capitalista non bada più agli obiettivi materiali dell’attività economica, ma al funzionamento formale dei mezzi escogitati per realizzare sistematicamente quegli obiettivi.
È questo il tratto «ascetico» del capitalismo, che Weber vede profondamente legato alla storia religiosa dell’Europa cristiana, e specialmente al protestantesimo di stampo calvinista. Si tratta di un legame in parte paradossale: proprio il calvinismo, tra le varie confessioni protestanti, è quello che più ha accentuato l’idea della predestinazione: la salvezza non la guadagniamo con le opere, dipende solo dalla scelta che Dio fa dei suoi eletti.