Jean Hyppolite, Genesi e struttura della Fenomenologia dello spirito di Hegel

Genesi e struttura (1946) di Jean Hyppolite è il maggior commento esistente della Fenomenologia dello spirito di Hegel. In quest’opera Hyppolite – che aveva reso per la prima volta disponibile in francese la traduzione integrale della Fenomenologia – non si propone di suggerire un’interpretazione selettiva e a tesi della grande opera hegeliana ma di sviluppare un commento e una parafrasi che seguono con fedeltà il testo hegeliano, con l’intento di renderlo più perspicuo ed evidente. Ogni appiglio interno al testo viene quindi sfruttato con estrema finezza per chiarire le varie connessioni di un’opera che ha esercitato su generazioni di studiosi un fascino suggestivo pari solo alle difficoltà intrinseche che l’accompagnano. Le indicazioni più precise fornite da Hegel vengono così utilizzate con grande sapienza per gettar luce sulle zone più oscure dell’opera e per ricavarne un disegno complessivo il più convincente possibile.

Hyppolite s’immedesima con l’opera di Hegel per sfruttarne tutti gli elementi interni, per riannodare il maggior numero di fili sparsi, per cavare il massimo di luce dai pochi luoghi in cui essa emerge. V’è una ragione che milita a favore del metodo globale seguìto da Hyppolite nella sua analisi sequenziale, pagina per pagina, della Fenomenologia: non considerarla un testo sviluppato in maniera unitaria. L’obiettivo è cioè quello di usare tutta la Fenomenologia per intendere tutta la Fenomenologia, attraversandola con un’indagine di esperienza per conseguire risultati più sicuri e limpidi.

La dialettica che Hegel presenta nella prima parte dell’opera sulla coscienza non è poi molto diversa da quella di Fichte o di Schelling. Si tratta di partire dalla coscienza ingenua, che sa immediatamente il suo oggetto – o meglio crede di saperlo – e di mostrare che nel sapere l’oggetto essa è in realtà autocoscienza, sapere sé. Il movimento proprio di questa dialettica in tre tappe – coscienza sensibile, percezione, intelletto – è dunque quello che va dalla coscienza all’autocoscienza. Per noi tuttavia l’oggetto della coscienza diviene il concetto (Begriff). La differenza rispetto a Fichte o a Schelling dipende dal fatto che Hegel non parte dall’autocoscienza, dall’Io = Io, ma vi arriva con l’intento di non far altro che seguire i passi della stessa coscienza non-filosofica.

L’autocoscienza emergerà dunque come un risultato, non come un presupposto. Nel complesso il movimento generale della filosofia nei secoli XVII e XVIII corrisponde a questo sviluppo. È una filosofia che giustifica o fonda una scienza della natura ma sfocia nella riflessione critica di Kant. Lo stesso Kant cominciò con una teoria del cielo, prese le mosse dal sapere della natura prima di riflettere su questo stesso sapere e mostrare che in fondo esso era un certo sapere sé. Ma questo sviluppo da una filosofia della natura, o del mondo, a una filosofia dell’io è di un grado superiore rispetto allo sviluppo seguito da Hegel in questo capitolo sulla coscienza. Quello che nella Fenomenologia corrisponderà più precisamente a tale passaggio storico sarà piuttosto lo sviluppo della ragione che cerca se stessa nell’essere. Se la dialettica della coscienza prefigura già nelle sue grandi linee il passaggio da una filosofia del mondo a una filosofia dell’io – e ciò sopra tutto nel capitolo finale sull’intelletto – va però sottolineato che qui per Hegel si tratta di uno studio più elementare. L’oggetto della coscienza non è ancora quello della ragione, non è ancora qualificato “mondo”: è l’oggetto nello stadio più semplice, estraneo a ogni ragione; nel punto di partenza esso è solo ciò che è dato, null’altro. Per ciò il primo movimento dialettico, quello della certezza sensibile, fa pensare piuttosto ai temi della filosofia greca, in particolare a quelli della filosofia platonica o dello scetticismo antico che Hegel aveva studiato in un articolo apparso nella rivista di Schelling, sui rapporti fra lo scetticismo e la filosofia. Il secondo capitolo, sulla percezione, corrisponde alla nozione di “cosa” distinta dalle sue proprietà e tuttavia definientesi attraverso queste. Si tratta ancora della percezione comune, e lo studio hegeliano della coscienza percipiente sembra spesso ispirarsi a una filosofia ancora ferma al livello della percezione comune, ma già in procinto di criticarla, come fa per esempio la filosofia lockiana. Infine nel capitolo sull’intelletto – quello che dalla coscienza ci porta all’autocoscienza – l’oggetto non è più immediatamente dato, non è più la cosa della percezione ma la forza o la legge. Qui indubbiamente si può pensare al dinamismo di Leibniz o alla filosofia-della-natura di Newton; ma a nostro avviso Hegel non è tanto preoccupato di ritrovare la scienza della natura quanto piuttosto ciò che ne sia già il presentimento nella coscienza comune, al di sotto di tale scienza. Insistiamo su questo punto; Hegel studia la coscienza comune, non una coscienza filosofica, e tuttavia – benché non citi alcun filosofo – per precisare e sviluppare l’analisi egli si serve della storia della filosofia. Lo scopo è sempre quello di condurre la coscienza all’autocoscienza, o meglio mostrare che la coscienza vi e condotta da sé, con una specie di logica interna che essa ignora, e che il filosofo discopre seguendo le esperienze di lei.

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