Il pensiero di uno dei più originali filosofi del Novecento presentato da uno psicoanalista che, favorito dalla posizione di ‘infiltrato’ in un campo contiguo al proprio, privilegia una lettura appassionata e non convenzionale, capace di evidenziare la vitalità e l’attualità di un’elaborazione teorica troppo spesso trascurata dall’Accademia.
“Quando le testate nucleari si accumulano, non ci si può fermare a spiegare l’Etica nicomachea”. Credo che in questa frase, graffiante nella sua estrema stringatezza, sia possibile identificare il tratto distintivo dell’opera di Günther Anders. La lessi qualche anno dopo l’incontro folgorante con i suoi testi più conosciuti (mi riferisco ai due volumi de L’uomo è antiquato) e fu allora che capii il motivo del mio legame istintivo nei confronti del suo lavoro, del quale, in effetti, mi aveva istantaneamente affascinato l’esigenza etica di entrare attivamente nella Storia, l’urgenza di aprirsi al mondo, di ‘occuparsene’ e – perché no? – di tentare di modificarlo: in altre parole, nell’accostarmi all’elaborazione di Anders, mi era capitato di incontrare qualcosa che, nel suo implicito invito a schierarsi, ad uscire dai salotti dell’Accademia, a scuotere il sembiante, a risvegliare sensibilità sopite (anche a costo di irritarle) entrava in risonanza con il mio desiderio (e della comunità analitica alla quale appartenevo) di proiettare la psicoanalisi fuori dalla dimensione intimistica e privata dello studio di consultazione per amplificarne la capacità di analisi politica e sociale. Un’ambizione che, certamente, lo stesso Anders avrebbe faticato non poco a riconoscere nel movimento psicoanalitico a lui contemporaneo, al quale, come noto, non risparmiò violente critiche. Ed è proprio da questa dichiarata ostilità di Anders nei confronti della psicoanalisi statunitense che ho scelto di avviare la mia riflessione sulla sua opera: una riflessione che, è bene precisare, in considerazione della mia formazione non specificatamente filosofica, si limita ad essere una meditazione sulla straordinaria prospettiva teorica aperta dal filosofo di Breslavia e su quegli scorci fecondi del suo pensiero che hanno avuto un effetto di ripercussione sul mio. Partirò, pertanto, con il prendere in esame la severità di un giudizio che suona quasi come un verdetto inappellabile di condanna della psicoanalisi (e, più in generale, della psicologia), in grado di mettere in questione la funzione dello psicoanalista, di interrogare il valore etico della sua pratica e di porre in risalto implicazioni del suo atto dal chiaro risvolto ‘politico’.
Recensioni
Eventi passati e futuri
Tutto
Solo eventi passati
Solo eventi futuri