Umberto Galimberti, L’età della tecnica e la fine della storia

L’indagine sull’origine della storia porta Umberto Galimberti a risalire ancora una volta ai Greci, prima fonte della nostra cultura. Se la storia, tuttavia, è “tempo fornito di senso”, allora i Greci, più che storici, furono “cronisti”. Kairos, ciclicità e piena consapevolezza della morte hanno fondato una temporalità senza storia. Quest’ultima appartiene infatti solo alla religione giudaico-cristiana, in quanto percorso di salvezza, basato su un “disegno sacro”, che unisce passato, presente e futuro. Il Cristianesimo accetta anche la tecnica, che è manipolazione della natura da parte dell’uomo che ne è il “padrone”, laddove per i Greci la natura è solo lo scenario immutabile in cui egli abita. In un confronto serrato che, attraversando il Medioevo, arriva ai giorni nostri, Galimberti riflette su quanto l’avvento del mercato e l’uso del denaro ci abbiano annullato come persone. Siamo di fronte al nichilismo e ai suoi sviluppi: è l’età della tecnica, dunque, a segnare la fine della storia e dell’Occidente come lo conosciamo.

Per i Greci il tempo felice era il tempo che avevano alle spalle, l’età dell’oro, l’infanzia dell’umanità, cosa che si traduce anche psicologicamente nell’esperienza individuale. Noi stessi riteniamo che la nostra infanzia sia più felice dell’età adulta: non è vero, ma nella nostra immaginazione funziona così. La natura con la sua temporalità ciclica era così importante per i Greci che la ergevano a principio regolatore: bisognava contemplare la natura allo scopo di catturarne le leggi, e da quelle leggi costruire una città secondo natura e anche una condotta della vita umana secondo natura. E quando nel mondo greco compare la tecnica, essi si allarmano, si interrogano su di essa, e la mettono subito in scena, la rappresentano. I Greci non ideavano le tragedie per far piangere la gente o le commedie per farla ridere, ma per mettere in scena qualcosa di problematico che sorgeva nella città come oggetto di discussione. Così mettono in scena Prometeo, amico degli uomini, che dona ai mortali il fuoco, la capacità del calcolo, rendendoli ben difesi e padroni delle loro menti e alla domanda rivolta a Prometeo: “dimmi, è più forte la tecnica o è più forte la natura?”, Prometeo risponde: “la tecnica è di gran lunga più debole delle leggi della natura”. Anche Sofocle dice che l’aratro fende la terra, ma la terra si ricompone dopo il suo passaggio e anche il mare, attraversato dalla nave, ricompone la sua quiete. Quindi la natura è più forte della tecnica.

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