Vissuto a cavallo tra Sette e Ottocento, quando l’Europa sperimentava rivoluzioni filosofiche, politiche e sociali, Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) partì da Kant per arrivare a inaugurare una filosofia in cui la ragione e la soggettività non solo governano e regolano il mondo ma lo costituiscono. In dialogo costante con il suo tempo e sensibile a temi sociali e politici, il suo idealismo continua a rappresentare un campo di prova formidabile per la ragione filosofica.
Sulla destinazione dell’uomo in sé
L’intento delle lezioni che inizio oggi vi è in parte noto. Vorrei rispondere, o piuttosto, vorrei indurre voi, signori miei, a rispondere alle seguenti domande: qual è la destinazione del dotto? Qual è il suo rapporto sia con l’umanità nel suo complesso sia con i singoli ceti in essa? Mediante quali strumenti egli può realizzare nel modo più sicuro la sua sublime destinazione?
Il dotto è un dotto solo nella misura in cui è contrapposto ad altri uomini che non lo sono. Il concetto di esso nasce da un confronto, da un riferimento alla società: termine con cui non s’intende semplicemente lo Stato ma, più in generale, quella aggregazione di uomini ragionevoli che vivono in uno spazio l’uno vicino all’altro e perciò vengono a trovarsi in relazioni reciproche.
La destinazione del dotto, se egli è tale, è dunque pensabile solo nell’ambito della società; e quindi la risposta alla domanda: qual è la destinazione del dotto? presuppone la risposta a un’altra domanda, che è la seguente: qual è la destinazione dell’uomo nella società?