Felice Ciro Papparo

Felice Ciro Papparo (Napoli, 1954) è professore ordinario di Filosofia morale presso l’Università “Federico II” di Napoli. Tra le sue ultime pubblicazioni: In questo groviglio mortale. Due studi freudiani (Macerata 2020); Scritti a margine, a cura e con una postfazione di S. Prinzi (Napoli 2020).

Essere e Avere

Nel suo Monadologia e sociologia, interamente ritmato dall’espressione newtoniana ma in positivo: Hypotheses fingo, Gabriel Tarde avanzava l’ipotesi, per nulla finzionale ma molto funzionale, che «se [la filosofia] fosse stata fondata sul verbo Avere [invece che «sul verbo Essere, la cui definizione sembrava la pietra filosofale da scoprire»], si sarebbero evitati molti dibattiti sterili e molte stagnazioni dell’intelligenza ».

Apparentemente una boutade, l’ipotesi tardiana rappresenta invece un vero e proprio cambio di scena, se solo ci si provasse a riscrivere l’intera storia della filosofia nell’ottica neg-ontologica. Oscillante tra la sostanza e l’azione, tra la giunzione e la disgiunzione, l’“Essere”, sedicente fondamento, ha finito – disperdendosi da un lato nella multivocità del dicibile e irrigidendo dall’altro il proprio mobile senso-d’essere nell’univocità di un sempre-uguale-intatto-significato – col ristagnare nel suo seno, diventando così, da pietra basilare dalle morte virtù, la pietra d’inciampo su cui battendo la testa ciclicamente è andata a cadere l’ostinata capacità del nostro intelligere di cogliere la vis entificante capace di esprimere le molteplici virtualità dell’Essere.

Che cosa intendesse mettere in evidenza Tarde proponendo la sostituzione di Avere al posto di Essere, o meglio ancora, riportando l’Essere all’Avere, non era tanto, o solo in prima battuta, la ‘spiegazione’ di-del Tutto attraverso le proprietà invece che con le entità, giacché su questa ‘abilità’, propria della scienza in opposizione alla filosofia, egli vedeva già chiaramente, ne «l’uso», fatto dalla scienza, «del rapporto proprietà-proprietario», «l’abuso» di interpretare «la vera proprietà di un proprietario» riducendola all’univocità astratta di un possesso assolutamente irrelato.

Ciò che stava a cuore a Tarde nel proporre, al posto «del principio, io sono […] il postulato “Io ho” come fatto fondamentale (c.m.)», è tutto racchiuso in un semplice ma decisivo ‘dato’ (Tatsache): quand’anche fosse possibile, dal principio: «io sono» si può dedurre solo la mia isolata esistenza e niente (di) altro; dal postulato: «io ho», discende invece l’inequivocabile compresenza, l’inseparabile ‘datità’ di un avuto e un avente, sicché, al posto di un’«opposizion[e] infecond[a]»: essere/non essere, io/non io, per via dell’Avere si schiude la dimensione dei «correlativi autentici», una dimensione che coinvolge e riguarda l’intero Essere.

Felice Ciro Papparo
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