Marco Deodati, L’esperienza spezzata

Che significa fare esperienza dell’estraneo? Come è possibile cogliere la differenza al di là del suo rapporto dialettico con l’identità? Come concepire un’alterità che non si connoti come una semplice variazione del medesimo? Queste domande muovono l’indagine fenomenologica di Bernhard Waldenfels, basata sull’idea di una radicalizzazione dell’esperienza. Ciò significa che l’esperienza non si limita ad attestare o registrare qualcosa di già sussistente, ma si caratterizza, invece, come una rete di dinamiche mediante cui il mondo, le cose, il sé si costituiscono e si alterano. L’estraneo si scorge lì dove essa presenta linee di rottura, eccedenze, sottrazioni, latenze, punti ciechi, lì dove essa sfugge a una piena appropriazione e manifesta, addirittura, un carattere indomabile. Ma l’aspetto friabile e frangibile dell’esperienza non implica tanto una sua debolezza, quanto piuttosto una sua potenza. Essa si spezza senza andare in frantumi. A partire dall’irruzione di eventi estranei, infatti, si dispiegano le molteplici strategie di risposta mediante cui sono istituiti nuovi ordini di senso, sul piano della determinazione del sé, della delineazione di una sfera etica originaria, della definizione di interventi tecnici nei processi di fenomenalizzazione.

La necessità di una ridefinizione dell’indagine filosofica al di là dell’egocentrismo e del solipsismo (seppur metodologici) husserliani pone Waldenfels di fronte a un lavoro teorico di questionamento delle istanze principali della fenomenologia, in un confronto costante con gli esiti cui questa va incontro specie nel pensiero francese. La scardinamento dell’impianto egocentrico e solipsistico coinvolge evidentemente le nozioni centrali di soggetto e soggettività, che concorrono a determinare – per quanto non da sole – la specificità dell’approccio husserliano a partire dagli anni che seguono la pubblicazione delle Ricerche logiche. È d’obbligo ricordare che proprio la definizione di un esplicito quadro teorico di tipo soggettivistico-trascendentale nel primo volume delle Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica causò sconcerto e polemiche nell’ambiente filosofico vicino a Husserl, specie tra i fenomenologi di Monaco e Gottinga, i quali interpretavano invece il “ritorno alle cose stesse” nei termini di un’impostazione decisamente antisoggettivistica o, addirittura, esplicitamente realista. In verità, la questione del soggetto nel pensiero di Husserl, tematizzata nel contesto del carattere costitutivo del rapporto intenzionale, non può essere ridotta a una lettura classicamente soggettivistica che ne preveda un primato in senso forte. Si tratta di un tema complesso e assai dibattuto, su cui non è possibile soffermarsi in modo approfondito in questo contesto. Si può però sostenere – come fa, peraltro, lo stesso Waldenfels – che Husserl intende la soggettività o l’io trascendentale non come una sostanza e neppure come una funzione o un principio logico di sintesi delle esperienze sensibili, ma come il campo di esperienza pura dispiegato dalla riduzione: in esso è possibile indagare le dinamiche intenzionali che presiedono alla costituzione di ogni senso d’essere, compreso quello dell’essere-soggetto. Nonostante alcune oscillazioni di significato, non sembra possibile attribuire a questa nozione di soggettività una portata di tipo demiurgico o prometeico. Mediante la sua tematizzazione, secondo Waldenfels, non si fa riferimento a un piano gnoseologico di certezza o accertamento, così come neppure a una dimensione ontologica sostanziale, bensì alla possibilità di rinvenire su base intuitiva la differenza di due modi d’essere (Seinsweisen), cioè quello tra vita costituente (la relazione intenzionale come tale) e mondo costituito. Questa differenza non può essere letta nei termini di un fare o un produrre nel senso usuale del termine, quanto piuttosto come un fare o lasciare apparire. In questa prospettiva, non è un caso che molti degli esiti più significativi della fenomenologia post-husserliana – da Heidegger a Merleau-Ponty, da Patočka a Lévinas, da Fink a Derrida – abbiano sviluppato le potenzialità teoretiche interne al pensiero husserliano non andando in direzione del realismo, ma radicalizzando proprio il motivo trascendentale in modi molteplici.

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