Empirismo e soggettività. Saggio sulla natura umana secondo Hume, è apparso in Francia nel 1953 e rappresenta l’esordio filosofico del giovane Deleuze. Si tratta di un testo di sfolgorante bellezza e attualità, in cui l’autore riesce a tracciare un inedito ritratto di David Hume facendone un intercessore di primo piano, imprescindibile per la definizione di un empirismo superiore adeguato alla logica delle molteplicità. Hume, riletto e interpretato al di là dei consueti canoni storiografici, risuona nuovamente in tutta la sua freschezza, e aiuta Deleuze a delineare le coordinate per una nuova immagine del pensiero introducendoci in un mondo artefatto, dominato dall’artificiale, che si situa al di là dei dualismi tradizionali, a un pluralismo aperto alla contingenza degli incontri e delle relazioni. Hume, insomma, ha saputo porre in modo nuovo il problema della soggettività, ma di una soggettività finalmente concreta, incarnata, affettiva e passionale, «pratica».
A diretto contatto con la vita.
Effetto Deleuze
Ancora nel contributo dedicato a Hume, compreso nella Histoire de la philosophie curata da François Châtelet, a quasi vent’anni dalla pubblicazione di Empirismo e soggettività, Deleuze sottolinea il «grande mutamento di direzione dalla teoria alla pratica» che si concretizza appunto nell’empirismo, con la sua destinazione/verità dell’associazione delle idee, il cosiddetto «associazionismo», in una «casistica» delle relazioni, in quella che prende corpo nelle pratiche del diritto, della politica, dell’economia, di tutto ciò che trasforma radicalmente il lavoro filosofico. E in tale prospettiva si evidenzia pure la questione della differenza più sopra toccata, che concerne non la differenza tra idee e impressioni, bensì quella «fra due tipi di impressioni o di idee, le impressioni o idee di termini e le impressioni o idee di relazioni». E su questa base si può apprezzare come il “mondo” dell’empirismo si dispieghi in tutta la sua estensione – riprendendo tratti di quel pensiero del “fuori” sviluppato da Michel Foucault, sulla scia delle aperture di Maurice Blanchot, che occuperà a lungo Deleuze e su cui spesso ritornerà con rinnovata attenzione – e infatti si può leggere che quel mondo è un «mondo di esteriorità, mondo in cui il pensiero stesso è in un rapporto fondamentale con il Fuori, mondo in cui esistono termini che sono veri e propri atomi e relazioni che sono veri passaggi esterni: mondo in cui la congiunzione “e” spodesta l’interiorità del verbo “è”, mondo di Arlecchino, di screziature e di frammenti non ricomponibili in cui si comunica mediante relazioni esterne». E poi: «Il pensiero di Hume procede su un doppio registro: l’atomismo, che indica come le idee o impressioni sensibili rimandino a minimi puntuali, produttori dello spazio e del tempo; l’associazionismo, che indica come fra questi termini si stabiliscano relazioni, sempre esterne a essi e dipendenti da altri principî. Da un lato una fisica dello spirito, dall’altro una logica delle relazioni». E le relazioni, che sono le congiunzioni stesse, insieme agli atomi che si raggruppano, costituiscono appunto un «mondo congiuntivo», attraverso il quale Hume spezza «la forma costrittiva del giudizio d’attribuzione» (un precedente assai ardito del «per farla finita con il giudizio» di Antonin Artaud…).
Dalla postfazione di Ubaldo Fadini