Come coniugare il necessario rilancio dell’economia con l’elaborazione di un altro modello di sviluppo, non incentrato esclusivamente sulla crescita e sull’efficienza ma capace di fare proprie istanze di giustizia sociale e di sostenibilità? Se il modello neoliberale è in crisi, nessun ritorno al passato sembra possibile, né auspicabile. Ma proprio qui Claudio Napoleoni ci ha dato indicazioni per il futuro: ricominciare a fare politica in campo economico e pensare in modo radicalmente riformista.
A partire dal Discorso sull’economia politica, viene qui indagata l’eredità intellettuale lasciata da Claudio Napoleoni: la necessità di ricomporre la frantumazione sociale come contenuto di una nuova lotta di classe che ridia dignità alle componenti residuali della società, il superamento della produzione come dominio quale obiettivo della politica della sinistra, le posizioni contro lo sciovinismo che induce gli Stati a perseguire i propri interessi nazionali con il gravissimo rischio di guerre, la pace come progetto politico. Tutti questi elementi indicano un sentiero sulle cui tracce i partiti progressisti dovrebbero seriamente impegnarsi a intraprendere il proprio percorso. Nel libro si parla anche del rapporto di Napoleoni con Torino – dove dal 1970 al 1977 insegnò presso la Facoltà di Scienze politiche – dell’influenza del pensiero di Heidegger sul tema della tecnica (intesa come strumento di liberazione dal lavoro), e del dialogo intrattenuto con Carla Ravaioli. Il libro si chiude con un dibattito tra Massimo Amato, Massimo Cacciari e Gianni Cuperlo, per riannodare la dimensione filosofica a quella politica, con l’obiettivo – più generale e comprensivo – di interrogarsi sull’uomo e il suo destino.
Saggi di: Massimo Amato, Dunia Astrologo, Massimo Cacciari, Francesca Coin, Gianni Cuperlo, Giuliano Guzzone, Stefano Lucarelli, Roberto Marchionatti, Anna Noci, Dominique Saatdjian, Maria Grazia Turri
Il marxismo italiano avrebbe dovuto ripartire dalla lezione di Claudio Napoleoni. Per due fondamentali ordini di motivi: il primo, il superamento di ogni pretesa di fondazione scientifica del concetto di sfruttamento; il secondo, la coscienza del carattere metafisico della visione del mondo e dei valori che si incarnano nel sistema sociale di produzione capitalistico. Per il primo ordine di motivi, è essenziale per Napoleoni il confronto con Sraffa; per il secondo, quello con Heidegger e Severino. Mentre tra anni ’60 e ’70 la teoria economica di orientamento marxista cerca in Sraffa la possibilità di conservare il nocciolo scientifico della teoria del plusvalore, Napoleoni disincanta il tentativo, dimostrando la neutralità dell’analisi sraffiana rispetto a questo tema e la sua utilizzabilità sia da parte dei “classici” che dei “neo-classici”. Il sistema sraffiano è aperto e wertfrei. (Sia detto per inciso, poiché qui non interessa tracciare una “storia del pensiero”, il fallimento del tentativo di combinare Sraffa con una teoria dello sfruttamento, spiega molto del cambio di clima radicale in questi studi e l’imporsi in tutte le Accademie di una economia senza politica, con quali “benefiche” conseguenze non sta a me dirlo).
Se il sovrappiù è un matter of fact accertabile empiricamente da cui non si può trarre alcuna conseguenza sulla natura dello sfruttamento e, quindi, politica, la teoria marxiana del plusvalore va francamente abbandonata. Essa non può spiegare il formarsi dell’accumulazione e della ricchezza. Ma che al tempo di lavoro non possa essere ricondotta la determinazione della ricchezza, lungi dal liquidare tout court il discorso di Marx ne permette l’esatta ri-collocazione, Er-örterung. Non è il tempo di lavoro, ma certamente è il lavoro vivo ciò che genera la sua eccezionale crescita. Vivo, e cioè liberato da ogni suo vincolo “servile”, pronto all’impiego. Vivo, e cioè produttivo. Vivo, e cioè sociale, valorizzante solo nella misura in cui parte di un cervello sociale in perenne funzione. Il sistema capitalistico, la civiltà del capitale, la prima che si regga sul primato dell’Economico, crea le condizioni per il massimo sviluppo di questa forma dell’Homo laborans, e da questa energia crea la sua ricchezza. Non vi è altro fattore che ne sia fonte o causa. Causa sui del sistema capitalistico è la messa al lavoro in forma sociale complessiva, organizzata, di masse straordinarie di umani.