Ecologia e libertà è un libro straordinariamente anticipatore. In esso la crisi della natura non si pone come esterna all’economia, alla società, alla politica; ne è semmai il volto estremo, il sintomo inaggirabile, l’ingiunzione cui non ci si può sottrarre procrastinando. André Gorz è tra i primi a chiederci di pensare la questione ambientale nella sua non-autosufficienza, nella sua impossibilità a spiegarsi da sé: essa dischiude infatti una crisi del produttivismo occidentale e del capitalismo industriale che possiede un’origine storica e che richiede una soluzione politica. Tale soluzione, peraltro, non fornisce alcuna garanzia sulla desiderabilità o meno del suo esito: il testo torna a più riprese sul rischio concreto di una deriva tecnofascista, cioè di una risposta autoritaria alle sfide ecologiche. Il degrado degli equilibri biosferici schiude infatti uno scenario fortemente polarizzato: alla tentazione dispotica deve far fronte un progetto sociale complessivo capace di coniugare la sostenibilità ambientale e l’autonomia individuale e collettiva. Il nesso tra ecologia e libertà, dunque, non si dà in natura – non sta nelle cose: bisogna produrlo, curarlo, difenderlo. In ultima istanza, l’ecologia politica di André Gorz è immaginazione pratica di un futuro non segnato dall’imperativo capitalistico della massimizzazione del profitto ad ogni costo. Sta in questo la sua più profonda attualità.
Ecologia e crisi del capitalismo
Qualsiasi produzione è anche distruzione. Ma fintanto che l’impatto produttivo sulle risorse naturali non raggiunge la soglia d’irreversibilità, questo fatto può rimanere nascosto: tali risorse appaiono allora come inesauribili. Esse si rigenerano spontaneamente: l’erba rinasce, e così pure la malerba. Gli effetti della distruzione sembrano interamente produttivi. Meglio ancora: la distruzione è la condizione stessa della produzione. È un lavoro infinito.
Si tratta di un lavoro indispensabile. La Natura non è fatta per l’uomo. La vita umana sulla terra è precaria e per svilupparsi ha bisogno di modificare alcuni equilibri ecosistemici. L’agricoltura ne è un esempio: essa interferisce non solo con l’equilibrio tra le specie vegetali, ma anche con quello stabilito tra queste e le specie animali. L’agricoltura implica inoltre la lotta contro i parassiti e le malattie crittogamiche, una lotta che può essere efficacemente condotta con mezzi biologici, cioè favorendo certe specie – dette “utili” – in modo che possano mettere fuori causa altre specie – dette “nocive”. In questo modo il lavoro nei campi rimodella la superficie del mondo.
La Natura, dunque, non è intangibile. Ed il progetto “prometeico” di “dominarla” o “addomesticarla” non è necessariamente incompatibile con il pensiero ecologico. Ogni cultura (nel duplice senso del termine) usurpa la natura e modifica l’ambiente. Semplicemente, il problema fondamentale posto dall’ecologia è di sapere:
1) se i trasferimenti che l’attività umana impone o estorce alla natura tengono in debito conto le risorse non rinnovabili;
2) se gli effetti distruttivi della produzione non superano gli effetti produttivi a causa di prelievi eccessivi operati sulle risorse rinnovabili.