A cent’anni di distanza dalla prima edizione, del 1922, Durata e simultaneità di Bergson presenta ancora importanti spunti di carattere filosofico, per comprendere appieno il pensiero del filosofo francese, in particolare il tema della durata, e mantiene un fondamentale valore storico per cogliere l’ampio dibattito filosofico e scientifico suscitato dalla teoria di Einstein. Quest’edizione italiana del testo è arricchita con tutti gli altri scritti di Bergson dedicati alla relatività, la discussione con Einstein, le note e le lettere del filosofo su queste tematiche o sul libro, oltre a quelle rivolte al grande fisico tedesco.
L’ampia introduzione di Paolo Taroni inquadra e ricostruisce tutta la storia del dibattito tra il fisico e il filosofo, il loro incontro a Parigi il 6 aprile 1922, l’amicizia dei due premi Nobel (per la letteratura e per la fisica), l’impegno comune alla Società delle Nazioni, le polemiche e le incomprensioni tra filosofi e fisici sulla teoria della relatività, le vicissitudini editoriali del testo, nonché le analisi critiche di filosofi come Maurice Merleau-Ponty e Gilles Deleuze, e scienziati come Arthur S. Eddington, Louis De Broglie, Olivier Costa de Bauregard e Ilya Prigogine.
Un libro che continua a offrire spunti di riflessione e a suscitare polemiche inesaurite su di un tema capitale come quello del dibattito tra il tempo dei filosofi e il tempo della scienza.
Per noi, innanzi tutto, è indubbio che il tempo non si confonde con la continuità della nostra vita interiore. Che cos’è questa continuità? Quella di un flusso o di un passaggio, ma di un flusso e di un passaggio che bastano a loro stessi, poiché il flusso non implica una cosa che scorre e il passaggio non presuppone degli stati attraverso i quali si passa: la cosa e lo stato sono solamente delle istantanee artificialmente prese sulla transizione; e questa transizione, naturalmente solo sperimentata, è la durata stessa. Essa è memoria, ma non memoria personale, esteriore a ciò che trattiene, distinta da un passato di cui assicura la conservazione; è una memoria interiore al cambiamento stesso, memoria che prolunga il prima nel dopo e impedisce loro di essere dei puri istanti che appaiono e scompaiono in un presente che rinasce incessantemente. Una melodia che ascoltiamo con gli occhi chiusi, pensando solo a essa, viene quasi a coincidere con questo tempo che è la fluidità stessa della nostra vita interiore; ma ha ancora troppe qualità, troppa determinazione, e bisognerebbe cancellare dapprima la differenza tra i suoni, poi abolire le caratteristiche distintive del suono stesso, trattenere di esso solo una continuazione di ciò che precede in ciò che segue e la transizione ininterrotta, molteplicità senza divisibilità e successione senza separazione, per ritrovare infine il tempo fondamentale. Questa è la durata immediatamente percepita, senza la quale non avremmo alcuna idea del tempo.
Come passiamo da questo tempo interiore al tempo delle cose? Noi percepiamo il mondo materiale, e questa percezione ci sembra, a torto o a ragione, essere allo stesso tempo in noi e fuori di noi: da un lato, è uno stato di coscienza; dall’altro, è una pellicola superficiale di materia dove coincidono il senziente e ciò che è sentito. Ad ogni momento della nostra vita interiore corrisponde, cosí, un momento del nostro corpo, e di tutta la materia circostante, che gli sarebbe «simultanea»: questa materia sembra allora partecipare della nostra durata cosciente.