Gianluca Solla, Disegnare, la formula di Freud

Una discreta folla di disegni popola l’opera di Freud lungo i decenni in cui la sua riflessione prende forma. Presenze enigmatiche e sorprendenti, questi disegni partecipano all’invenzione di una nuova lingua. Disegnano i margini di un’opera teorica e clinica al tempo stesso, per arrivare a ridefinire la funzione stessa del vedere e dell’analizzare. Sostengono così l’invenzione della psicoanalisi, perché il loro tratto grafico non è mai l’illustrazione di una parola già presente e risolta, ma ambisce a estendere e insieme a intensificare la riflessione.

La formazione di neurologo avrebbe permesso a Freud di dare solidità scientifica alla nascente psicoanalisi. Eppure, per descrivere la vita della psiche occorreva rischiare di perdere l’evidenza realistica dell’anatomia e della neurologia. Occorreva osare un pensiero della costruzione e della congettura, del sogno e del fantasma. È qui che si inscrive la necessità di abbandonare il piano dei minuziosi disegni di nervi e di tessuti della sua formazione giovanile, per approdare a un pensiero congetturale a cui il disegno partecipa a pieno titolo.

In quanto capace di ridisegnare le configurazioni stabili della nostra visione e quindi del visibile stesso, il disegno andrà pensato come riscrittura: un riscrivere che non si faccia mai solo per sé, ma anche per far entrare altri nella visione. Diremo così: nel disegno si compie il passaggio che Freud effettua dalla vista alla scrittura per tornare al vedere, “nel passare da un paesaggio a un’onomastica, una toponimia, una combinatoria, un manifesto, un cartello, un proverbio, un doppio senso, nel passare dall’erbario alla sistematica, dall’illustrazione al testo, dai fatti alla formula”. Sta qui il viaggio che Freud ci fa compiere per affidarsi a un vedere che riguarda ciò che non è immediatamente visibile. Si tratta di inventare una vista che non è affatto naturale, ma un supplemento di vista, indispensabile per orientarsi in un mondo fatto di presenze invisibili che si affollano alla soglia dell’attenzione psichica. Abitatore di un’epoca che inventa la fotografia, ma anche i raggi X, Freud sa che la vista è nei suoi supplementi. E che la mano che scrive, ma che anche disegna, può guidarla al di là dell’abituale e del familiare, al di là del saputo e del già fatto, verso una nuova capacità di guardare, secondo una linea che va dall’immagine al linguaggio e dalla parola alla visione. L’immagine si evolve in analisi, capace di bucare le nostre immagini mentali, le nostre rappresentazioni del mondo. Solo così permette che qualcosa abbia una scena, la sua scena e che se ne dia accesso. È questa scena e questo disegno che permettono che la forma finalmente emerga e che si delinei, sporgendo da tutte le esperienze vissute, non per sottoporre la propria ipotesi di significato a chi lo legga, ma per mostrare un differente tracciato, un’ipotesi di ricombinazione possibile del reale. Non serve per comprendere, ma per creare catene di nuove connessioni. Anche quando si dà apparentemente esclusivamente come registrazione di un’esperienza, ogni disegno vale come rielaborazione. Il disegno all’apparenza più banale non è mai separato dalla fiducia in una trasformabilità delle cose. L’immagine vi assume una valenza operativa, che si nutre della convinzione. Attiva i suoi effetti nella misura in cui è creduta, rimettendo in gioco il registro di quanto insiste nelle immagini di ciascuno.

Recensioni

202323apr2:00 pmIl mistero del segno tracciato in un fogliodi Marcella Cara2:00 pm Centro Psicoanalitico di Roma, RomaRassegna stampa:Disegnare, la formula di Freud

202225mag2:00 pmIl Foglio: Recensione a Disegnare, la formula di Freuddi Rinaldo Censi2:00 pm Il Foglio, MilanoRassegna stampa:Disegnare, la formula di Freud

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