Perché nelle nostre società siamo sempre obbligati a dir vero su noi stessi? Qual è il prezzo, e quali sono gli effetti soggettivanti di questo obbligo generalizzato di verità? Al termine del primo semestre del 1982 Foucault tiene un ciclo di conferenze all’Università Victoria di Toronto che si inscrive nel progetto di una genealogia del soggetto occidentale moderno ed è dedicato alla nascita dell’ermeneutica di sé. Dopo aver analizzato il tipo di conoscenza di sé e di rapporto a sé che caratterizza la askesis greco-romana, dove per il soggetto si tratta di stabilire con se stesso una relazione di possesso e di sovranità, Foucault studia il rovesciamento che nei primi secoli del cristianesimo ha condotto alla nascita di un’ermeneutica di sé concepita come l’esplorazione e la decifrazione, da parte del soggetto, della sua stessa interiorità. Per caratterizzare questo rovesciamento Foucault introduce un’inedita distinzione tra due forme di ascesi, l’una rivolta verso la verità (truth-oriented) e l’altra rivolta verso la realtà (reality-oriented). Parallelamente alle conferenze di Toronto, Foucault tiene anche un seminario dedicato allo studio dettagliato dei testi degli autori antichi su cui si fondano le sue analisi dell’antica cultura di sé e presenta un abbozzo dei differenti significati della nozione di parresia, un tema che sarebbe divenuto l’argomento quasi esclusivo dei suoi ultimi lavori.
Askesis
Il nome di askesis veniva dato regolarmente alle diverse forme della cultura di sé: askesis significa esercizio, allenamento. Musonio Rufo, per esempio, ha scritto alla metà del primo secolo [d.C.] un trattato Sulla askesis, di cui è stato conservato un frammento grazie all’Antologia di Stobeo. Musonio diceva (e in ciò non faceva che ripetere un insegnamento tradizionale) che l’arte di vivere (techne tou biou) era come le altre arti; non la si poteva apprendere attraverso il solo insegnamento teorico (mathesis); ma richiedeva pratica e allenamento (askesis). Musonio fa una distinzione fra tre tipi di askesis:
– l’allenamento e gli esercizi che concernono il corpo,
– l’allenamento e gli esercizi che concernono l’anima,
– e l’allenamento che concerne sia l’anima che il corpo.
E per Musonio soltanto gli ultimi due tipi di esercizi facevano parte dell’allenamento filosofico. L’esclusione della ginnastica dalla vita filosofica è caratteristica di questa cultura. Sappiamo che Platone, anche se faceva (per esempio nell’Alcibiade) una distinzione molto netta tra la cura del corpo e la cura dell’anima, imponeva ai giovani – nella Repubblica o nelle Leggi – un allenamento fisico molto duro per fare di loro non soltanto dei buoni soldati, ma dei cittadini virtuosi. Da Platone a Musonio è evidente che c’è stato un cambiamento: un cambiamento, dal corpo considerato come condizione ed espressione della qualità dell’anima, in direzione del corpo, o meglio, in direzione delle relazioni e delle interazioni tra il corpo e l’anima, considerati come un campo pericoloso in cui possono sorgere le passioni. Da questo punto di vista, non è necessario fare riferimento a Elio Aristide; ci basta soltanto leggere le lettere di Seneca: sono piene di piccole informazioni sulle sue malattie, sui suoi mal di testa, sulla cattiva aria che deve respirare. La corrispondenza tra Marco Aurelio e Frontone mostra la stessa cosa. Le relazioni tra il corpo e l’anima sono percepite e provate come la culla del pathos, della passione. La medicina succede alla ginnastica come principale cura etica del corpo.