Carmelo Vigna, Didascalie filosofiche

Una didascalia, come si sa, è una breve spiegazione che di solito accompagna una immagine, un testo o qualcosa di simile. In questo libro, che raccoglie una serie di saggi scritti in varie occasioni e in tempi diversi, la didascalia accompagna piuttosto una parola (o più parole) che compare nei titoli dei capitoli della parte prima e della parte seconda del volume. Così si tenta di dilucidare in modo piano alcune cifre di attualità culturale (parte prima) o classiche nel linguaggio filosofico (parte seconda). La parte terza del volume è riservata a un gruppo di scritti (per lo più recenti), che hanno un intento didascalico più lato, e sono propriamente scampoli di ricerca teorica.

Il proposito didascalico è, dunque, quello dominante in queste pagine: una sorta di omaggio dedicato al lettore meno interessato a esposizioni specialistiche. Un lettore prezioso, perché è un interlocutore che costringe spesso a rendere semplici e lineari i contenuti complicati della filosofia e così a mettere questi contenuti al servizio del (buon) senso comune.

Raramente si tiene presente, quando si parla di “persone”, che la parola “persona” dice in realtà di una interpretazione della vita umana che è una elaborazione del pensiero occidentale; e neppure di tutto il pensiero occidentale. Altre tradizioni culturali – per esempio quelle orientali (ma non solo) – la ignorano. La nozione di persona è stata infatti coniata durante i dibattiti teologici della prima cristianità, quando si trattava di mettere a punto una conveniente dottrina cristologica. Ciò significa che anche il mondo greco e romano non ha una vera e propria nozione di persona, anche se possiede già una complessa analisi della natura umana.

La prima messa a punto della definizione di “persona” risale infatti a Severino Boezio (V-VI sec.). Della persona umana Boezio dice che essa è “una sostanza individua di natura razionale” (rationalis naturae individua substantia). La definizione boeziana, poi diventata canonica, è in realtà di tradizione aristotelica. Che un essere umano sia “sostanza individua”, significa (nel linguaggio aristotelico, e poi pure scolastico) che è un essere “autonomo” nel suo stare al mondo e che è composto da un principio “formale” e da un principio “materiale”. Il principio “formale” è quello che fa l’essere umano diverso da altri esseri (da un gatto e/o da una pianta di ulivo), il principio “materiale” è quello che lo fa un individuo, ossia un essere assolutamente singolare. Solitamente (e sbrigativamente) si intende con “principio materiale” alludere al “corpo” e con “principio formale” a ciò che si usa chiamare “anima” o anche “spirito” o “mente”.

Si noti subito che questo individuo umano non è un mix di due sostanze (di due “cose”), ma di due “principi”, cioè di due “componenti”, che non esistono separatamente nella realtà. Questa distinzione sembra una cosa ovvia, ma è stata la pietra di inciampo di secoli di riflessione in Occidente, soprattutto per colpa di Cartesio, che ha appunto concepito l’essere umano come costituito da due “sostanze” (la sostanza “pensante” o “anima” e la sostanza “estesa” o “corpo”). Cartesio è però l’erede moderno della tradizione greco-platonica e neoplatonica, già “dualistica”, che egli poi irrigidisce ulteriormente in uno schema oppositivo, messo oramai sotto accusa da tutta o quasi tutta la filosofia contemporanea.

Nessun commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

X