Che ne è del Corpo e del Soggetto nell’epoca del postumano? Questa la domanda alla luce della quale il volume esamina le molteplici voci del panorama postumanista, ripercorrendone la genesi da un punto di vista storico e teoretico. Consapevoli o meno, infatti, il postumano è il nostro presente, che decide i nostri corpi e qualifica il tipo di soggettività di cui possiamo essere protagonisti. Diventa quindi filosoficamente necessario prenderne le distanze per affrontarlo criticamente, così da poter resistere ad un futuro che sembra già deciso. Questa operazione di distanziamento e messa a fuoco è realizzata assumendo come punto di vista privilegiato la filosofia di Gilles Deleuze. Vengono indagate le implicazioni dell’ontologia immanentista deleuzeana, per evidenziare come questa comporti una teoria del corpo e (quindi) della soggettività alternative al dettato postumanista. Al modello chimerico dell’Ibrido postumano si contrappone la sollecitazione etico-teoretica del Divenire deleuzeano. Il confronto con Deleuze consente di cogliere i limiti del postumanismo al di là delle sue velleità emancipatorie: il corpo postumano è ridotto a supporto protesico e il soggetto che lo accompagna è tale unicamente in quanto assoggettato al plesso sapere-potere che lo definisce. Esercizio di sottrazione, il divenire indica invece l’orizzonte regolativo di una corporeità vissuta come potenza espressiva al di là di ogni pretesa riduzionista e di una soggettività che si (ri)scopre in quanto processo di soggettivazione.
Univocità e Molteplicità
L‘analisi della recensione deleuzeana a Logica ed esistenza di Hyppolite ci aveva permesso di scoprire come per Deleuze “la filosofia deve essere ontologia”; a questo punto si rende necessario approfondire ulteriormente questa posizione, affrontando quella che può essere considerata come il proseguimento ideale di tale affermazione, ovvero: «C’è sempre stata una sola proposizione ontologica: l’Essere è univoco» affermazione che troviamo sostenuta all’interno di Differenza e Ripetizione (d’ora in avanti DR), opera del 1968.
Una concezione univoca dell’Essere viene considerata da Deleuze come il pre-requisito necessario per pensare la differenza in sé, ovvero in quanto non subordinata alla forma dell’Identità, dato che soltanto una posizione radicalmente univocista sarebbe in grado di evitare qualsiasi forma di trascendenza.
Istituire una trascendenza significa infatti pensare l’essere non in quanto tale (cioè immanente a sé stesso) ma in quanto immanente a, ossia in un rapporto di dipendenza onto-logica rispetto ad un’istanza qualificata come fondamento o principio che, in quanto tale, non può che caratterizzarsi come principio di ordinamento e gerarchizzazione in virtù del quale tutto ciò che è viene ordinato (tramite l’attribuzione di identità astratte) verticalmente attraverso l’instaurazione di diversi livelli ontologici.
Sostenere una posizione univocista significa invece operare una ri-orientazione del pensiero che passa dalla verticalità della trascendenza all’orizzontalità di «un mondo di immanenza ontologica […] essenzialmente anti-gerarchico» in cui, nella loro infinita pluralità, ciascun ente si afferma positivamente in quanto differenza, al di là di qualsiasi identità pre-costituita.