La filosofia critica di Kant (1963) è un’opera dedicata a un “avversario” filosofico di prima grandezza, con cui è indispensabile fare i conti. Kant – spiega Deleuze – «è la perfetta incarnazione della falsa critica», di qui il suo fascino. Eppure «quando ci si trova di fronte a un’opera di questa genialità, non si può dire soltanto che non si è d’accordo. Bisogna anche saperla ammirare; bisogna saper ritrovare i problemi che pone, il suo macchinario». Il Kant di Deleuze si presenta pertanto come un libro assolutamente singolare, sui generis, poiché, se da un lato si tratta di un testo scritto con esplicita ammirazione e simpatetico slancio, dall’altro si rivela come un’analisi lucida e spietata, positiva, concentrata e tesa, tutta interna alle tre Critiche, di cui mette in evidenza il lato problematico, le aporie, i vicoli ciechi, tutti i pericoli a cui va incontro il filosofo di Königsberg – ma dove Deleuze sembra anche cercare (e forse in primo luogo) un confronto con se stesso, una messa a punto delle sue idee. Si tratta di un libro necessario. Perché «è soltanto a forza di ammirazione che si ritrova la vera critica».
Una prima contestualizzazione della Filosofia critica di Kant
Può sorprendere che nella Filosofia critica di Kant (1963) Deleuze intenda ricostruire l’unità sistematica delle Critiche kantiane, dopo che in Nietzsche e la filosofia (1962) ne ha contestato i presupposti fondativi. Nel testo del ’62, Deleuze riprende le critiche dei postkantiani, in specie Maimon e Fichte, alle discrasie che orientano, sin dal fondamento, l’impresa critica, ovvero l’eterogeneità tra fonti conoscitive (intelletto e sensibilità), tra fenomeno e noumeno, tra costituzione formale dell’oggettività e diversità materiale del dato. Il superamento delle insufficienze di queste «miracolose armonie tra termini che rimanevano esterni gli uni agli altri» richiede un principio che non sia solo «condizione» ma una «vera e propria genesi»; il passaggio da un principio condizionante a un principio genetico, ancora inadeguato nell’idealismo, verrebbe compiuto, secondo Deleuze, dalla genealogia nietzscheana. L’istanza genetica si opporrebbe così al punto di vista trascendentale.
Per contro nella monografia del ’63, e nel contemporaneo L’idea di genesi nell’estetica di Kant, Deleuze ha comunque ben presenti le difficoltà dell’impianto kantiano ma individua nella «genesi propriamente trascendentale» operata dalla Critica del giudizio il punto di ricomposizione, almeno parziale, delle aporie delle prime due Critiche.
Ora, questo slittamento non indica un’indeterminatezza semantica né corrisponde a un mutamento di prospettiva teoretica o interpretativa. In primo luogo, infatti, è significativo come il progetto genealogico nietscheano sia riguardato, in Nietzsche e la filosofia, alla stregua di un rinnovamento e di un perfezionamento della critica kantiana, dunque in continuità almeno parziale con l’impostazione trascendentale: il «colpo di genio di Kant» consiste in quella «critica immanente» della ragione le cui articolazioni e la cui cogenza sistematica sono esattamente il tema della Filosofia critica di Kant.
Dalla postfazione di Sandro Palazzo