Dario Tordoni

Dario Tordoni è dottore di ricerca in Filosofia e collabora alle attività del Dipartimento Fissuf dell’Università degli studi di Perugia. Formatosi in ambito ontocoscienzialista, le sue ricerche sono volte a indagare la prossimità tra la tradizione filosofica e quella mistica. Oltre ad alcuni contributi sul pensiero bonaventuriano, ha pubblicato la monografia Rilke e Heidegger. L’“Angelo” e il compito dei “mortali” nelle Elegie Duinesi (2018).

«Non enim intendo novas opiniones adversare, sed communes et approbatas retexere»; così Bonaventura dichiara le sue intenzioni metodologiche nella praelocutio al secondo libro del Commento alle Sentenze. Al di là di un coerente spirito d’umiltà, quanto trapela dalle parole del Maestro francescano è soprattutto la consapevolezza del proprio ruolo di interprete della tradizione. Il sapersi già gettato in una tradizione da una parte costituisce la base teoretica per affrontare la riflessione filosofica e teologale in una prospettiva essenzialmente ermeneutica, dall’altra suggerisce la forma-pensiero che struttura la sua ricerca speculativa come “itinerarium”, un camminare della mente, che, dispiegandosi, svela come la meta fosse già nel punto di partenza e insieme nell’orizzonte in cui si compie il cammino.

Se si pensa al “prius inaudita” usato da Cusano per introdurre le sue tesi cosmologiche nel secondo libro del De docta ignorantia, la distanza tra i due autori non potrebbe sembrare più netta. Per buona parte del secolo scorso, del resto, la manualistica ha consolidato l’immagine di un Bonaventura forse più “mistico” che “filosofo”, comunque rappresentante della Scolastica più retriva, e di un Cusano “antesignano della modernità”. La ricerca ha ormai delineato dei profili più accurati per entrambi gli autori e si può notare come la loro fortuna storiografica presenti delle affinità. Anche Cusano ha dovuto a lungo portare l’etichetta di “mistico” nel senso spregiativo di esponente di un pensiero che evita il coinvolgimento della ragione e quindi davvero “pensiero” non è; e solo sulla scorta di una lenta riscoperta – sotto la spinta di un rinnovato interesse per il pensatore nell’ambito della scuola dell’idealismo tedesco –, finalmente tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX la ricerca filosofica, nelle sue più varie declinazioni, ha assunto il pensiero e la figura del Cardinale a oggetto di indagine. Da quel momento la riscoperta del pensiero cusaniano non si sarebbe più arrestata, prestandosi questo – in virtù di una certa indisponibilità a lasciarsi con facilità ridurre a una precisa categoria – a essere letto dai più svariati punti di vista. Se a Cassirer si può ascrivere il merito di avere imposto il pensiero cusaniano all’interesse di un vasto pubblico, gli si deve riconoscere il merito ancora più grande di avere innescato una straordinaria mole di approfondimenti critici, in virtù della sua troppo parziale interpretazione del Cardinale come “fondatore e campione della filosofia moderna”.

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