Catherine Malabou è professoressa di Filosofia alla Irvine University in California. La sua ricerca, di portata molto ampia, spazia dalle neuroscienze alla filosofia della politica, dalla psicoanalisi al femminismo. Centrale nei suoi studi è il concetto di “plasticità”, che deriva in parte dall’opera di Hegel e dal concetto scientifico di neuroplasticità. Tra le sue pubblicazioni in lingua italiana si ricordano: Ontologia dell’accidente. Saggio sulla plasticità distruttrice (2019); Avvenire e dolore trascendentale (2019); Divenire forma. Epigenesi e razionalità (2020).
Per entrare nel tramonto, vi invito a considerare il mio ritratto concettuale come una maschera di trasformazione.
Nata in un’alba difficilmente localizzabile, lontano da qui, sulle coste occidentali dell’America Settentrionale, in Cina, in Siberia, in Nuova Zelanda, probabilmente in India e in Persia, una strana tendenza artistica ha lasciato le proprie tracce sotto forma di maschere che, malgrado l’incommensurabile distanza tra i paesi, i continenti e i popoli che ne furono i custodi, presentano una sorprendente analogia strutturale. Sono maschere al plurale, composte da volti molteplici; maschere di maschere, se vogliamo. Come spiega Lévi-Strauss: «Queste maschere […] ad un tratto si aprono come in due battenti mettendo in mostra un secondo viso, e talvolta un terzo dietro il secondo, tutti segnati dall’impronta del mistero e dell’austerità […]».Sono dette: maschere di trasformazione.
Le maschere di trasformazione non lasciano vedere la faccia che esse mascherano. Al viso, del resto, esse non si adattano; non accolgono il modello, non sono fatte per dissimulare. Si aprono e si chiudono esclusivamente su altre maschere. Non operano la metamorfosi di qualcuno o di qualcosa; il loro essere si raccoglie nella cerniera che separa il loro centro. Sono chiamate anche: «Maschere articolate». Lévi-Strauss elogia il loro «dono ditirambico di sintesi», la loro capacità di tenere insieme elementi eterogenei. Dal momento che esse non mascherano un volto ma espongono i rapporti di trasformazione che strutturano ogni volto (apertura e chiusura su altre facce), tali maschere rivelano il legame segreto tra unità formale e articolazione, tra la compiutezza della forma e la possibilità della sua dislocazione.
Per entrare nel tramonto, vi invito a leggere queste pagine – il passato che raccontano, l’avvenire che annunciano – al modo in cui le ante delle maschere di trasformazione si dispiegano, rinvenendo dietro ogni pannello la persistenza di una questione, ma di una questione dislocata per via della sua stessa persistenza: la questione, per l’esattezza, della struttura differenziata di ogni forma e, in senso inverso, dell’unità formale o figurale di ogni differenza e di ogni articolazione.