Editoriale

Pensiero nomade

Pensiero nomade

Se domandiamo cos’è o cosa diviene Nietzsche oggi, sappiamo bene a chi bisogna rivolgersi. Bisogna rivolgersi ai giovani che stan­no leggendo Nietzsche, che scoprono Nietzsche. Noi, la maggior parte di quelli qui presenti, siamo già troppo vecchi. Cosa scopre oggi un giovane in Nietzsche, che sicuramente non coincide con quello che vi aveva scoperto la mia generazione, che sicuramente non coincide con quello che vi avevano scoperto le generazioni pre­cedenti? Come è possibile che oggi dei giovani musicisti si senta­no coinvolti da Nietzsche nelle cose che fanno, pur non facendo assolutamente musica nietzschiana, nel senso in cui la faceva Nietz­sche? Come è possibile che dei giovani pittori, dei giovani cinea­sti si sentano coinvolti da Nietzsche? Cosa accade, in che modo cioè recepiscono Nietzsche? A rigore, tutto ciò che si può spiega­re, dall’esterno, è in che modo Nietzsche abbia rivendicato, per sé e per i suoi lettori, contemporanei e futuri, un certo diritto al con­trosenso. E oltretutto non importa quale diritto, perché ha le sue regole segrete, ma un certo diritto al controsenso su cui vorrei spie­garmi tra un momento, e che implica il fatto che commentare Nietzsche non sia la stessa cosa che commentare Descartes, He­gel. Mi chiedo chi sia oggi il giovane nietzschiano: chi prepara un lavoro su Nietzsche?

err

err. scritture dell’imprevisto

err è rivista del Reale, ovvero l’impasse che dimora in ogni sapere, enunciazione e pratica discorsiva. Il Reale dimora nell’insistenza sintomatica che causa e disturba ogni pratica, discorso, attività e ogni manifestazione affettiva. Intendiamo questa proposta culturale come uno stare al centro del limite di codificabilità, far scricchiolare le linee di visibilità e di enunciabilità le une contro le altre, piegarle su loro stesse.

err è una serie di intensità, un coagulo di cospirazioni, è il prendere corpo e il farsi movimento di pensieri, atti, sintomi, storie, immagini, pieghe, bruciature, senza gerarchie, senza contabilità. È la molteplicità di un montaggio al contempo contingente e ripetitivo, ovvero un’interrogazione sulla soggettività come processo mai concluso, come linea, dove però “la linea, dal canto suo non smette di spiegarsi a velocità folli”. È il tentativo di annunciare qualcosa di questo desêtre

Pensare in tempo di sventura

Pensare in tempo di sventura

Ogni crisi profonda, di primo acchito, ci paralizza. Dinanzi all’odierna crisi ambientale, della cui gravità avvertiamo sempre più e sempre più spesso i segnali, non possiamo che riflettere, maledire l’ottusità di una gestione predatoria e incosciente delle risorse naturali, disperarci della nostra incapacità di prevedere l’irreversibilità della nostra azione collettiva e la portata delle sue conseguenze. Siamo messi di fronte alla cecità di un’irrazionale fiducia in un progresso illimitato, all’infrangersi dell’illusione che i processi che abbiamo innescato avrebbero dovuto autoregolarsi e armonizzarsi tra loro e con l’ambiente. Similmente la trasformazione della sfera del lavoro in ambito della mera produzione, in campo dell’alienazione assoluta e dello sfruttamento illimitato – in cui non è garantita alcuna sopravvivenza, né materiale né esistenziale –, rischia di annichilirci, di negarci il bisogno, propriamente umano, di appropriarci col pensiero dei luoghi e degli oggetti fra i quali passiamo la vita

Ipocrisia democratica

Ipocrisia democratica

Riconoscendo ai cittadini il diritto di obbedire solo alle norme che sono state vagliate, discusse e approvate dalla maggioranza dei loro rappresentanti eletti a seguito di un confronto pubblico e di un dibattito parlamentare, le democrazie costituzionali riconoscono inediti spazi di autonomia al pubblico dei cittadini, che peraltro varia storicamente in funzione dei criteri di inclusione sociale che consentono di accogliere tra le sue fila soggetti prima esclusi dal diritto di voto passivo e attivo. A seguito di questa estensione progressiva – a cui contribuì la mobilitazione coatta di enormi masse in due guerre mondiali e l’ingresso obbligato delle donne nel mercato del lavoro – i diritti di partecipazione politica di componenti prima escluse della popolazione si sono aggiunti ai diritti civili dello Stato liberale. All’indomani di questo riconoscimento, il conflitto di classe è stato canalizzato dalle organizzazioni sindacali e dai partiti di massa nel corso della seconda metà Novecento…

Le possibilità dentro la catastrofe

Le possibilità dentro la catastrofe

Confesso che negli ultimi tempi mi sento in imbarazzo se devo rivolgermi a persone più giovani. Ho come l’impressione che le cose che io ho da dire per loro siano esasperanti. Mi dico che è forse una questione di invecchiamento: ho settant’anni, e probabilmente la mia percezione del futuro è legata a questo. Poi però, ho un secondo pensiero: l’invecchiamento non è soltanto un problema personale, perché un terzo della popolazione del nord del mondo ha più di sessantacinque anni. Questa annotazione di tipo demografico – che si salda paradossalmente con una persistente esplosione demografica nel sud del mondo, particolarmente nel mondo indù, nel mondo islamico e dell’Africa – questa duplicità di prospettive ci porta a quella che Donna Haraway, nel suo ultimo libro, definisce “inevitabilità dell’estinzione”. Un libro strabiliante, anche se enigmatico: l’estinzione è considerata nell’ordine dell’inevitabile per il fatto che, mentre il pianeta si va restringendo – il livello del mare si innalza, le coste dovranno essere abbandonate, entro il 2050 seicento milioni di persone dovranno abbandonare il posto nel quale vivono per spostarsi verso territori più vivibili –, allo stesso tempo la popolazione globale aumenta. In tal senso, dice la Haraway, non c’è possibilità di sopravvivenza della razza umana…

Maradona

DiegoArmandoMaradona: la costruzione sociale di un’icona

Si pronuncia tutto attaccato, senza pause di respiro né di riflessione. DiegoArmandoMaradona. Perché rappresenta un’icona che va oltre le “semplici” regole linguistiche. D’altronde, secondo Charles Peirce, l’icona è uno dei tipi fondamentali dei segni della semiologia, che si trova in un rapporto di estrema somiglianza con la realtà esteriore. In base a tali regole, dunque, è corretto dire “Maradona è il calcio”, oppure, come recita il titolo odierno (26 novembre 2020) del quotidiano italiano la Repubblica: “Il calcio va in paradiso”. Intendendo con calcio, appunto, Maradona. E la correttezza dello sguardo che caratterizza tale espressione è confermata anche da un altro significato del termine icona, ossia un personaggio emblematico di un’epoca, di un ambiente, di un genere. Maradona dunque è il calcio. Lo è stato e lo sarà, considerando soprattutto le possibilità di creazione e conservazione digitale di prodotti audiovisivi e di racconti.

Ma un’icona intesa in quest’ultima accezione non può esistere senza la società, ossia senza qualcuno che la crei, la utilizzi, la diffonda. Come si verifica questo processo? Proviamo a tracciarne il percorso, ripercorrendo parti della biografia del Pibe de oro

Una catastrofe non la si vedrà mai venire

Una catastrofe non la si vedrà mai venire

Sentire il grisou, com’è difficile. Il grisou è un gas inodore e incolore. Come sentirlo o vederlo allora, malgrado tutto? Detto altrimenti: come veder venire la catastrofe? E quali sarebbero gli organi sensoriali di un simile veder-venire, di un simile sguardo-tempo? L’infinita crudeltà delle catastrofi è che diventano visibili troppo tardi, quando ormai hanno avuto luogo. Le più visibili – le più evidenti, le più studiate, le più universali – le catastrofi insomma alle quali si fa spontaneamente ricorso per intendere che cos’è una catastrofe, sono catastrofi che furono, catastrofi del passato; quelle che qualcun altro, prima di noi, non ha saputo o voluto veder venire, quelle che qualcun altro non è riuscito a impedire. Le riconosciamo tanto più facilmente perché oggi non ne siamo affatto – o più – i responsabili…

Alcibiade e la cura di sé

Alcibiade e la cura di sé

Il principio che bisogna «occuparsi di se stessi» ha ricevuto la sua prima elaborazione filosofica nell’Alcibiade di Platone. Come sappiamo, i commentatori esitano sulla data da proporre per questo dialogo. Alcuni elementi spingono a vedervi un testo della giovinezza di Platone: il genere di personaggi che vi partecipano, il tipo di interrogazione e la lentezza del dialogo, molti dei temi affrontati. Ma altri elementi invece richiamerebbero a una datazione più tarda: e in particolare la conclusione molto «metafisica» del dialogo, a proposito della contemplazione di sé nell’essenza divina. Lasciamo da parte questo dibattito, che non è di mia competenza. E manteniamo solo la soluzione suggerita dai neoplatonici. È interessante per il senso che la tradizione antica attribuiva a questo dialogo e per l’importanza che dava al tema della «cura di sé»…

La buona media

La buona media

Amare o essere? Amare rinunciando a essere, come colui che accetta di essere tutto amore, o rivoltolarsi nello spessore dell’essere rinunciando all’amore? Questo dilemma insolubile, pur non comportando nessuna soluzione logica, ci lascia però delle scappatoie. Per rendere possibile l’impossibile, per sfuggire all’alternativa a cui lo costringe la sua contraddizione vissuta e a cui lo vincola il suo paradosso interiore, l’essere al tempo stes­so morale e finito, l’essere finito-morale dispone in particolare di quattro alibi: in primo luogo, la buona media, che è soprat­tutto un’astuzia e non implica direttamente l’ambiguità, ma piuttosto la mescolanza e il pressappoco; in secondo luogo, il faccia-a-faccia immobile, inchiodato al suolo dalla neutralizza­zione reciproca dell’amore e della morte, del dovere e dell’esse­re, faccia-a-faccia che alla fine lascia l’ultima parola proprio al­la morte, che non è una scappatoia ma al contrario un blocco, e che è indirettamente un modo di eludere qualsiasi soluzione…

Macchina da guerra

Macchina da guerra e nomos

La fuga può appartenere alle esperienze più svariate e per definizione non è anticipabile, si sottrae al perimetro di qualsiasi progetto. La fuga di solito è l’effetto prodotto da una macchina da guerra. La macchina da guerra non ha a che fare in primo luogo con azioni di belligeranza, non provoca necessariamente un conflitto, è semmai un modo peculiare di abitare lo spazio, «è nella sua essenza l’elemento costitutivo dello spazio liscio, dell’occupazione di questo spazio, dello spostamento in questo spazio e della composizione corrispondente degli uomini: è questo il suo solo e vero oggetto positivo (nomos)». Il nomos della macchina da guerra definisce un certo rapporto tra lo spazio e il molteplice di qualsiasi natura (inorganico, animale, antropologico, tecnologico ecc.) che lo riempie. La comprensione deleuziana di nomos è il controcanto della definizione che ne dà Carl Schmitt in un saggio del 1953. Per Schmitt nomos dice il modo in cui un gruppo umano prende possesso di uno spazio e lo organizza per la propria sussistenza…

X