Carlo Sini, già professore di Filosofia teoretica presso l’Università Statale di Milano, è membro dell’Accademia dei Lincei. Studioso del pragmatismo americano e della fenomenologia, ha sviluppato un rilevante approccio teorico ai legami tra filosofia e scrittura, con particolare riguardo all’alfabeto greco inteso come forma logica del pensiero occidentale. Negli ultimi anni si è dedicato a un’ampia sistemazione “enciclopedica” del sapere filosofico che lo ha condotto a discutere i temi della pratica tra etica, politica ed economia.
Il peccato di Dante
Qual era il peccato di Dante, quel peccato dal quale, per emendarsi, egli doveva addirittura affrontare le viscere dell’inferno e la montagna del purgatorio in un cammino esemplare che da autobiografico diviene emblematico per tutta l’umanità? Così emblematico da segnare la vita di Dante di una missione della quale la Commedia è l’espressione e il mezzo? Cosa aveva fatto dunque di così grave Dante per assegnarsi un così arduo cammino di redenzione, tale da divenire esemplare per l’intera condizione umana? Si è soliti spiegare il traviamento giovanile di Dante in termini di incontinenza e in particolare di lussuria. È vero che Beatrice, sulla cima del Purgatorio, rimprovera Dante di averla tradita e si può intendere la cosa anche in senso sentimentale, ma è altrettanto ovvio che non è questa la più profonda ragione dei rimproveri, quei rimproveri che suscitano in Dante un mare di lacrime. Non è per questi motivi molto personali e molto privati che Dante si è assunto una missione grandiosa, che doveva esplicitamente rivolgersi alla salvezza dell’intera umanità, a partire dalla sua. In questo senso, il canto X contiene il segreto del traviamento di Dante e questo segreto ha, secondo me, un nome preciso, sul quale invero capita che troppo poco ci si soffermi. Questo nome suona “Guido” e Guido, come si sa, è il grande assente-presente del canto X.