Carlo Negri (Milano 1986) consegue nel 2015 il Dottorato in “Studi Umanistici. Tradizione e Contemporaneità” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. I suoi interessi di ricerca riguardano in particolar modo Gilles Deleuze, la filosofia francese post-strutturalista, la ricezione di Spinoza nel Novecento e la proposta ontologica del realismo speculativo di Quentin Meillasoux. Nel 2013 ha pubblicato Homo tantum. L’istanza trascendentale nel pensiero di Gilles Deleuze.
Che cosa può un corpo?
La centralità riservata alla dimensione della corporeità deriva da quel dispositivo di pensiero che Deleuze nomina come la «grande identità Spinoza-Nietzsche»: Deleuze individua cioè, al di là di qualsiasi valutazione di opportunità di tipo storiografico, una tendenza alla rivalutazione del corpo che accomuna Spinoza e Nietzsche, e che viene considerata come punto archimedeo su cui strutturare un superamento della soggettività egologica, nel segno di una visione affermativa della potenza.
Abbiamo visto infatti come il piano d’immanenza a cui giunge Deleuze attraverso l’elaborazione della sua ontologia della differenza si caratterizza, analogamente alla sostanza spinoziana e al nietzschiano “mondo dionisiaco” della volontà di potenza, come una dimensione intrinsecamente energetica, in quanto superficie mobile costituita da rapporti differenziali (ovvero intensità, gradi di potenza).
Resta da valutare come in questo contesto debba essere pensato l’individuo nella sua singolarità (quel limite impossibile da cogliere per il pensiero rappresentativo e la concezione analogica da cui è sostenuto, quale metodica gnoseologica e ordinalità ontologica) e come la corporeità possa costituirsi non solo in quanto dimensione d’individuazione, ma anche e soprattutto di partecipazione alla molteplicità del reale univoco.
Solo a partire da questa prospettiva, per Deleuze, sarà infatti possibile dare nuova consistenza alla soggettività in quanto spazio funzionale del vissuto, ossia (come chiariremo in seguito) regola di prudenza critica e clinica (dei modi di vita) che se, da un lato, apre alla sperimentazioni dei propri limiti esistenziali (e in questa apertura riscopre l’intimità con il processo potenziale dell’essere, ossia il piano d’immanenza), dall’altro è quella funzione che proprio nella sperimentazione riafferma i limiti in quanto tali (secondo il movimento ricorsivo di territorializzazione e de-terittorializzazione), di modo che dalla sperimentazione stessa «se ne fa ritorno con gli occhi arrossati, anche se sono gli occhi dello spirito».