Bruno Moroncini ha insegnato Filosofia morale, Antropologia filosofica e Psicologia clinica nelle Università di Messina e Salerno. Si occupa principalmente di filosofia moderna e contemporanea con una particolare attenzione per i rapporti fra filosofia e psicoanalisi. Fra i suoi libri più recenti: La morte del poeta. Potere e storia d’Italia in Pier Paolo Pasolini (Napoli 2019) e L’etica del desiderio. Un commentario del seminario sull’etica di Jacques Lacan (con Rosanna Petrillo, Napoli 20212).
È sempre un io che dice ‘noi’. Sono sempre ‘io’ che dico – invoco, anticipo, ordino – un noi. Sono sempre io che, evocando un altro a sua insaputa – dandolo per momentaneamente o definitivamente assente, cioè morto, oppure incompetente a dir la sua sulla comunità di cui lo obbligo a far parte, o comunque arrivato troppo tardi per fare anche la più piccola obiezione –, enuncio e per ciò stesso – nulla essendo più performativo dell’io che è noi e del noi che è io – rendo effettivo, qui e ora, un noi che, se dovesse risultare dall’assenso simultaneo e simmetrico di me e dell’altro, si rivelerebbe impossibile e come l’hegeliana lotta delle autocoscienze per il riconoscimento, privata del passaggio nella servitù, si concluderebbe con la morte di entrambi.
Perché vi sia comunità, anche la comunità minima rappresentata dalla coppia, dall’io e dall’altro, da me e te, è necessaria la sopravvivenza, è necessario che uno sopravviva all’altro e che da questo spazio della sopravvivenza si rivolga all’altro, lo invochi e prenda il coraggio, o abbia l’arroganza, di dire ‘noi’. ‘Noi ci siamo amati’, per esempio.
Noi, quindi, la possibilità di dire noi, la sua stessa esistenza, presuppongono la morte dell’altro, ne dipendono e di conseguenza la esigono. Da qui il dolore e la vergogna connessi al prender la parola: si parla infatti sempre al posto di un altro e in suo nome, si parla e si dice noi sempre a partire dalla morte dell’altro, vale a dire da un altro morto, da questo morto qui, una volta in carne e ossa, da quest’altro morto talmente determinato e singolare da averlo anche potuto odiare mentre era in vita, con il quale ci si è anche potuti scontrare duramente, essersene dette di tutti i colori, ma che proprio per questo, ora che è morto, si scopre di aver amato e di aver fatto con lui comunità, di essere stati con lui come in un noi, ora che si scopre che per il solo fatto di essergli sopravvissuti si è divenuti, senza volerlo o in verità avendolo voluto da sempre, la sua sopravvivenza, il suo modo di continuare a morire senza morire che è quanto intendiamo quando diciamo che qualcuno o qualcosa sopravvive.