A partire dal mito del pomo della discordia, la bellezza di cui tratta il saggio di Elena Pulcini è quella intorno alla quale si innesca la competizione riferita da secoli al mondo femminile come una sua caratteristica. Perciò essa si intreccia con l’invidia, passione triste per eccellenza, unico vizio senza piacere. Attraverso letteratura, cinema e famosi serial televisivi, l’Autrice cerca di verificare se quest’idea sia davvero soltanto uno stereotipo. Sicuramente esso è corrispondente al senso di impotenza femminile prodotto dalla società nella sua storia. Così l’invidia si diffonde maggiormente tra le donne perché è una passione “democratica”, cioè prospera solo tra eguali. E come la bellezza, ossessiva e competitiva, aumenta di valore nella società dello spettacolo, così cresce anche l’invidia. Ma una resistenza è sempre possibile: rivendicare l’unicità della propria storia e della propria identità, una specie di resistenza melvilliana à la Bartleby, col suo “preferirei di no”.
Invidiose sì, ma di chi?
Dunque sì, le donne sono invidiose: ora possiamo anche ammetterlo dopo aver fatto un po’ d’ordine nella confusione tra stereotipi e tracce di verità. Ma di chi? La domanda può apparire retorica: se, come ci confermano i più diversi linguaggi e narrazioni, complici nell’affermare che l’oggetto dell’invidia femminile è la bellezza, è evidente che la rivalità femminile non può essere che quella fra donne: di cui vedremo ora le complesse manifestazioni e le inquietanti implicazioni.
Ma prima viene spontaneo chiedersi: questo vuol dire che non siamo invidiose del maschile? Se è vero che per secula seculorum siamo state (e siamo) oggetto del dominio patriarcale, come è possibile che non proviamo sentimenti di rivalità e di competizione anche verso gli uomini? La risposta è più complessa di quanto possa sembrare e sta tutta nelle molteplici sfumature delle passioni competitive. Prima però di andare un po’ più a fondo su questo tema, dobbiamo liberarci di un altro potente stereotipo che riguarda la relazione tra i sessi e che tuttora facciamo fatica a scrollarci di dosso: la cosiddetta “invidia del pene”, ben noto pilastro della psicoanalisi.