Questo seminario dell’anno 1984-1985, incentrato sull’Infinito, è parente di quello consacrato al tema dell’Uno, tenuto nel 1983-1984, e già pubblicato. I due seminari costituiscono una preparazione particolare di L’essere e l’evento pubblicato nel 1988. Si tratta di setacciare attraverso il filtro della grande storia della filosofia alcuni concetti maggiori del libro in preparazione. L’essere e l’evento contiene in effetti almeno tre tesi fondamentali che giustificano un’indagine serrata sul modo in cui sono stati trattati dai miei colleghi e rivali della grande storia speculativa i concetti dell’Uno e dell’Infinito. Queste tesi sono:
- L’Uno non è, l’essere non si dà che nella forma del multiplo.
- Una situazione, pensata come una molteplicità, è generalmente infinita.
- Ogni verità, considerata nel suo essere-molteplice, è infinita.
Inoltre, nel prosieguo del mio lavoro filosofico, vale a dire Logiques des Mondes (2006) e L’immanences des vérités (work in progress), aggiungo qualche enunciato sull’Uno o sull’Infinito:
- Ogni mondo è un multiplo misurato con un cardinale infinito di tipo inaccessibile.
- In ogni mondo c’è solo un elemento che è l’inesistente [inexistant] di quel mondo.
- Il finito non esiste. Esso risulta dal chiasmo tra due infiniti di natura differente.
- Con l’intervento dell’infinità del vero, ogni produzione finita si divide in una creazione e in uno scarto.
- La finitudine è l’essenza di ogni forma d’oppressione, e il suo superamento implica un infinito nuovo rispetto a quelli che strutturano il mondo preso in esame.
“La storia per me funziona come il supporto per una variazione eidetica di un dato concetto”
Detto questo, l’esame storico dei concetti, soprattutto nel presente seminario, non ha come obiettivo la loro incorporazione all’interno della mia impresa metafisica. Tento piuttosto di cogliere la molteplicità delle definizioni e delle costruzioni, un po’ come chi guarda da angolazioni differenti un oggetto esposto a luci diverse. La storia per me funziona in generale come il supporto per una variazione eidetica di un dato concetto. Così come facevo intervenire la dialettica dell’Uno come trascendenza e il conto-per-uno come operatore delle strutture, attraverso le opere così differenti di Cartesio, Platone e Kant, allo stesso modo esamino da vicino la natura e la funzione dell’infinito all’interno dei sistemi di Aristotele, di Spinoza e di Hegel.
Si potrà facilmente notare che la scelta di questi tre immensi filosofi consente di muoverci dal Niente al Due passando per il Tutto: per Aristotele, l’infinito non ha essere; per Spinoza, l’infinito è il Tutto dell’essere; per Hegel, l’infinito si divide dialetticamente in infinito quantitativo e infinito qualitativo, per definire in ultima analisi il Sapere assoluto.
Ma in fondo, quando si ricerca un’idea nella storia, sono spesso i dettagli che importano e che a volte avvicinano dei pensieri che credevamo opposti. Per questo motivo ritroviamo in Hegel, nelle fattezze della teoria della ripetizione, l’idea di Aristotele secondo cui l’infinito è la combinazione di un percorso e di una misura. L’imbarazzo di Spinoza invece, nel momento in cui deve ammettere, per ragioni strategiche, che esiste una sorta d’intermediario tra il finito e l’infinito, nelle forme paradossali dei «modi infiniti» di Dio, evoca al lettore quale io sono l’imbarazzo di Hegel quando è costretto ad ammettere, ancora per ragioni impellenti, che il quantitativo è in grado di determinare in se stesso il qualitativo. Questa Hegel la chiama «la qualità di essere quantità», anche se la distinzione iniziale tra i due registri dell’infinito si basava sul fatto che il quantitativo, che è puramente oggettivo, non si può autodeterminare, contrariamente al qualitativo, che è soggettivo – esso infatti riesce a identificarsi come essere per sé.
“… per Aristotele, l’infinito non ha essere; per Spinoza, l’infinito è il Tutto dell’essere; per Hegel, l’infinito si divide dialetticamente in infinito quantitativo e infinito qualitativo, per definire in ultima analisi il Sapere assoluto”
Si vedrà che tutto ciò conferisce a questo seminario, ancor più che al precedente (quello sull’Uno), un sapore esegetico e raffinato. Ci troviamo nelle sottostrutture laboriose del discorso filosofico, quando gli autori si impegnano loro malgrado in sottigliezze la cui comprensione esige degli sforzi costanti e a volte deludenti. Così ci rendiamo conto che solo al prezzo di questi sforzi lungo dei sentieri scoscesi e nebbiosi possiamo recarci infine su una radura lieta del pensiero, libera e solare, tale che ci domandiamo se non sarebbe stato possibile raggiungerla con minori fatiche. Invece no! È come quando, per risolvere un problema dalla formulazione concisa ed elegante, un matematico deve riempire molte pagine di calcoli, così complessi che rigo dopo rigo fatichiamo soltanto nel tentativo di comprendere il susseguirsi delle formule.
In realtà, esiste anche un godimento segreto nell’addentrarsi all’interno della cucina speculativa, nel seminterrato degli appartamenti di rappresentanza che ogni filosofo ha allestito per gli invitati precipitosi. Ah! Non ci troviamo mica dentro le formule rutilanti del tipo «l’essere si dice in più sensi», «l’uomo libero a nulla pensa meno che alla morte», o «il tempo è l’esistenza del concetto» [le temps est l’être-là du concept]. No, lavoriamo sodo, non capiamo per molto tempo granché, vediamo brillare una scintilla di frase, di sfuggita. Contestiamo, dibattiamo, ma la rete si restringe sempre, e anche se si trova una falla da qualche parte, una maglia della rete che è sfuggita, questa non provoca che una riconoscenza ulteriore nei confronti di chi ci ha proposto degli esercizi così belli e ostici che ora, liberi dalla fatica e ammirandoli nella loro restituzione, siamo fieri, così fieri, di aver portato a termine.
Che il lettore non sia dunque impaurito: la ginnastica intellettuale è in fin dei conti ben più feconda e sorprendente dell’altra. Inoltre, concedetemelo, gli ho alleggerito parecchio la fatica!
Alain Badiou
[tratto da L’Infinito, Orthotes 2018]