Gilles Deleuze
Gilles Deleuze

Gilles Deleuze (Parigi, 1925-1995) allievo di Jean Hyppolite e Ferdinand Alquié, è stato uno dei maggiori pensatori contemporanei. Ha descritto un’originale storia della filosofia occupandosi di autori come Spinoza, Leibniz, Hume, Kant, Nietzsche, Bergson, Foucault, dedicando a ognuno uno studio particolare. Ha definitivamente consolidato una filosofia «della differenza e del divenire» nei classici Differenza e ripetizione e Logica del senso, affrontando gli aspetti «pratici» di tale posizione ne L’Anti-Edipo, in Mille piani e Che cos’è la filosofia, scritti in collaborazione con Félix Guattari.

Pensiero nomade

Pensiero nomade

Se domandiamo cos’è o cosa diviene Nietzsche oggi, sappiamo bene a chi bisogna rivolgersi. Bisogna rivolgersi ai giovani che stan­no leggendo Nietzsche, che scoprono Nietzsche. Noi, la maggior parte di quelli qui presenti, siamo già troppo vecchi. Cosa scopre oggi un giovane in Nietzsche, che sicuramente non coincide con quello che vi aveva scoperto la mia generazione, che sicuramente non coincide con quello che vi avevano scoperto le generazioni pre­cedenti? Come è possibile che oggi dei giovani musicisti si senta­no coinvolti da Nietzsche nelle cose che fanno, pur non facendo assolutamente musica nietzschiana, nel senso in cui la faceva Nietz­sche? Come è possibile che dei giovani pittori, dei giovani cinea­sti si sentano coinvolti da Nietzsche? Cosa accade, in che modo cioè recepiscono Nietzsche? A rigore, tutto ciò che si può spiega­re, dall’esterno, è in che modo Nietzsche abbia rivendicato, per sé e per i suoi lettori, contemporanei e futuri, un certo diritto al con­trosenso. E oltretutto non importa quale diritto, perché ha le sue regole segrete, ma un certo diritto al controsenso su cui vorrei spie­garmi tra un momento, e che implica il fatto che commentare Nietzsche non sia la stessa cosa che commentare Descartes, He­gel. Mi chiedo chi sia oggi il giovane nietzschiano: chi prepara un lavoro su Nietzsche?

Spinoza

Spinoza materialista

Spinoza propone ai filosofi un nuovo modello: il corpo. Egli propone di istituire il corpo come modello: «Nessuno sa ciò che può il corpo…». Questa dichiarazione di igno­ranza è una provocazione: noi parliamo della coscienza e dei suoi decreti, della volontà e dei suoi effetti, dei mille mezzi per muovere il corpo, per dominare il corpo e le pas­sioni ‒ ma non sappiamo affatto ciò che può un corpo. Parliamo a vuoto, invece di conoscere. Come dirà Nietzsche, ci si stupisce di fronte alla coscienza, ma «ciò che è sorprenden­te è piuttosto il corpo…».

Tuttavia, una delle più celebri tesi teoriche di Spinoza è conosciuta sotto il nome di parallelismo: essa non consiste soltanto nel negare ogni rapporto di causalità reale fra la mente e il corpo, ma vieta ogni eminenza dell’una sull’al­tro. Se Spinoza rifiuta ogni superiorità dell’anima sul cor­po, ciò non è per instaurare una superiorità del corpo sul­l’anima, che d’altronde non sarebbe affatto più intellegibile. Il si­gnificato pratico del parallelismo appare nel rovesciamento del principio tradizionale sul quale si fonda la morale come impresa di dominio delle passioni da parte della coscienza: se il corpo agisse l’anima patirebbe, si sosteneva, e l’anima non potrebbe agire senza che il corpo non patisca a sua vol­ta (regola del rapporto inverso, cfr. Descartes, Trattato delle passioni, artt. 1 e 2). Al contrario, secondo l’Etica, ciò che è azione nell’anima è anche necessariamente azione nel cor­po, ciò che è passione nel corpo è anche necessariamente passione nell’anima. Nessuna eminenza di una serie sul­l’altra. Che cosa intende dire, dunque, Spinoza quando ci invita a prendere il corpo come modello…

La filosofia critica di Kant

Introduzione alla filosofia critica di Kant

Kant definisce la filosofia come «la scienza della relazione di ogni conoscenza ai fini essenziali della ragione umana», o come «l’amore dell’essere razionale per i fini supremi della ragione umana». I fini supremi della Ragione formano il sistema della Cultura. In queste definizioni possiamo già riconoscere una duplice lotta: contro l’empirismo, e contro il razionalismo dogmatico.

Per l’empirismo la ragione, propriamente parlando, non è una facoltà dei fini. Che invece rimandano a un’affettività originaria, a una «natura» in grado di porli. L’originalità della ragione consiste in una certa maniera di realizzare fini comuni all’uomo e all’animale. La ragione è la facoltà di concatenare [agencer] dei mezzi indiretti, obliqui; la cultura è astuzia, calcolo, espediente. Indubbiamente, i mezzi originari reagiscono sui fini, e li trasformano; ma, in ultima istanza, i fini sono sempre quelli della natura.

Contro l’empirismo, Kant afferma che ci sono anche dei fini della cultura, dei fini caratteristici della ragione. Inoltre, soltanto i fini culturali della ragione possono essere detti assolutamente ultimi: «lo scopo finale non è tale che la natura sia sufficiente ad effettuarlo e a produrlo conformemente alla sua idea, perché è incondizionato».

Gli argomenti addotti da Kant, a questo proposito, sono di tre tipi. Argomento di valore: se la ragione servisse soltanto a realizzare i fini della natura, non si capisce perché dovrebbe valere più della semplice animalità…

Deleuze e Hume

Problema della conoscenza e problema morale

Hume si propone di fare una scienza dell’uomo. Qual è il suo progetto fondamentale? Una scelta si definisce sempre in funzione di ciò che esclude, un progetto storico è una sostituzione logica. Per Hume si tratta di sostituire a una psicologia della mente una psicologia delle affezioni della mente. La psicologia della mente è impossibile, incostituibile, non potendo trovare nel suo oggetto né la costanza né l’universalità necessarie; soltanto una psicologia delle affezioni può costituire la vera scienza dell’uomo.

In tal senso Hume è un moralista, un sociologo prima di essere uno psicologo: il Trattato mostrerà che le due forme in cui la mente è affetta sono essenzialmente il passionale e il sociale. Che tra loro si implicano, garantendo l’unità dell’oggetto di una scienza autentica. Da una parte la società pretende da ognuno dei suoi membri, si attende da loro l’esercizio di reazioni costanti, la presenza di passioni suscettibili di fornire dei moventi e dei fini, dei caratteri collettivi o particolari: «Un principe che impone una tassa ai suoi sudditi si aspetta la loro condiscendenza». Dall’altra, le passioni implicano la società come il mezzo obliquo attraverso cui soddisfarsi…

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