In un’epoca sospesa tra l’eclissi e il ritorno del religioso, può l’antropoteismo di Feuerbach avere ancora un peso nella ridefinizione del concetto di ateismo, intendendolo quale espressione di una nuova modalità dell’essere religiosi? Partendo dall’idea di un’autentica esperienza religiosa anche in assenza della fede in Dio, il presente volume si propone di contribuire alla riapertura della discussione su un filosofo ancora oggi in parte frainteso, interrogandosi sulla possibilità di concepire religione e ateismo come opzioni mai del tutto antitetiche. Questa ipotesi viene verificata mettendo in dialogo l’ateismo religioso di Feuerbach con la posizione religiosamente atea di autori contemporanei quali Vattimo, Panikkar, Gauchet e Taylor, qui riletti e reinterpretati come pervasi dal tentativo feuerbachiano di costruire una religione laica e secolare.
L’importanza del pensiero filosofico di Feuerbach si fonda sul valore intrinseco che la sua speculazione riveste, indipendentemente da ogni funzione mediatrice da essa esercitata nell’ambito della riflessione filosofica dell’Ottocento, in base alla quale egli sarebbe nient’altro che un semplice momento di transizione tra la posizione espressa dall’idealismo hegeliano e il materialismo dialettico di Marx e di Engels. In particolare, una ripresa di interesse per Feuerbach si è avuta a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, in concomitanza con una più diffusa consapevolezza su temi come quello della secolarizzazione e dell’ateismo, che hanno interpellato soprattutto forme di pensiero religiosamente orientate. In altri termini, l’influsso che Feuerbach ha esercitato nella cultura novecentesca, non si limita unicamente alle correnti atee, ma investe anche alcune manifestazioni letterarie, filosofiche e teologiche del pensiero teistico. In tali settori, si è andata generalmente sostituendo, ad un atteggiamento di condanna radicale, una posizione meno drastica, fatta di volontà di comprensione e di ascolto. Si è assistito così al tentativo di rivalutare, in Feuerbach, ciò che costituisce l’essenza positiva del suo pensiero, cercando nello stesso tempo di inverarne le istanze di fondo e di superarne le innegabili aporie.
Nell’alveo di questi tentativi, si situa la posizione di coloro che vedono in Feuerbach l’occasione propizia per dare inizio ad un approfondimento del significato ultimo della religione.
Anche in questo contesto, egli viene valorizzato, non tanto per i contenuti oggettivi del suo insegnamento, quanto per il compito che egli affida, tramite gli interrogativi che pone, alla fede dell’uomo d’oggi. Nell’intento poi, di dare una risposta a tali problemi, l’influsso feuerbachiano giunge talvolta a favorire forme di secolarizzazione e di Cristianesimo senza Dio tanto accentuate, da generare l’interrogativo, se esse siano più vicine alle posizioni atee del loro interlocutore o alla visione di fede, di cui pure vorrebbero essere espressione. Altre volte, invece, quell’influsso riesce a stimolare una vera comprensione rinnovata del fenomeno religioso, che va da una presa di coscienza più approfondita, di ciò che è la fede, ad una sua trascrizione in categorie più accessibili al mondo contemporaneo.