Che cosa significa per gli uomini abitare e amare il mondo? Come si articola l’intreccio tra la pluralità umana, la politica e il mondo? Tali sono gli interrogativi che muovono questo libro, e Hannah Arendt rappresenta una guida per dipanare la matassa dell’interdipendenza tra un’umanità plurale, cioè composta da individui affini ma al contempo unici, un mondo prodotto dall’operare sulla natura, e infine una libertà che ha nella scena politica il suo ambito precipuo.
Viene qui ripercorsa l’intera riflessione arendtiana, a partire dai testi giovanili fino alle ricerche tarde sulle facoltà mentali, per individuare la genesi, lo sviluppo e la maturazione dei concetti di mondo, di pluralità umana e di politica. Una libertà politica limitata, un mondo che sorge dalla fabbricazione solitaria e dai molteplici sguardi, una pluralità di individui che dalla sfera pubblica sono contenuti e al contempo resi reali: questa è l’articolazione tra mondo, politica e pluralità. Nello sforzo di accogliere tale commessura è in gioco l’amore per il mondo. Nel comprendere le differenze tra la varietà di fenomeni sta il compito del pensiero.
Arendt sostiene che sia la negazione desiderante di sé, sia quella creaturale, rendano incomprensibile l’amore per il prossimo. E quindi si chiede se vi sia ancora un altro contesto d’esperienza da indagare, un ulteriore ambito concettuale da cui Agostino abbia desunto la rilevanza dell’altro: per Arendt tale contesto – pur non esplicitato nella dissertazione – è quello romano.
Come già notato, Arendt non tematizza il senso politico che Agostino attribuisce all’amore; ella piuttosto fuoriesce dall’argomentazione agostiniana per esplicitare il ruolo storico di Agostino come padre della Chiesa in quanto comunità storica; Arendt allude inoltre al quella sorta di escatologia della storia che Agostino delinea nel V libro di La città di Dio, laddove egli narra il rapporto tra Impero Romano e Chiesa come una sorta di passaggio di consegne – schema che sarebbe poi stato definito translatio imperii. La comunità cristiana fondata sulla fede comune presuppone a ben vedere la comunanza d’origine: «il semplice esser-se-stesso di Dio, a cui credono tutti, non crea ancora nessuna comunanza dei credenti».
La fede comune è fondata quindi su uno specifico fatto storico, ovvero la «morte redentrice di Cristo»: la comunità della fede si configura come liberazione da un passato comune inteso come mero fatto: la fatticità della nascita in una data comunità del bisogno viene assunta liberamente attraverso l’emergere di una comunità fondata sull’elezione divina.